CASSAZIONE: IL 'VAFFA' NON E' PIU' UN INSULTO

No elusione fiscale se si sceglie lo Stato con fisco più favorevole per import

Avv. Emunctae Naris

(pseudonimo)   [A medico, confessore e avvocato / niente bisogna tenere celato].

 

Sentenza Cassazione penale 3 aprile 2013 n. 15186. Pronunciandosi su un'interessante vicenda in cui ad un imprenditore era stato contestato il reato di evasione dell'IVA all'importazione per avere immesso in consumo in Italia un velivolo di produzione statunitense sottraendolo al pagamento dell'Iva, la Corte di Cassazione, creando di fatto un contrasto giurisprudenziale sull'argomento, ha affermato il principio che non è configurabile una sorta di, penalmente illecita, simulazione complessiva nel caso in cui il bene, costruito in un paese extra-UE faccia ingresso in un paese UE (nella specie, la Danimarca) che gode di un regime fiscale più favorevole, non essendo applicabile la fattispecie penale dell'omesso pagamento dell'lva all'importazione. Ma, sul punto, si profila un insanabile contrasto giurisprudenziale.
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno ricordare che negli ultimi anni è acceso il dibattito sull’equiparazione dell’Iva all’importazione a un diritto di confine e sul connesso rapporto tra il reato di contrabbando e quello di omesso versamento dell’Iva all’importazione a seguito del mancato pagamento di tale tributo sugli acquisti di merci extracomunitarie. La tematica è stata recentemente affrontata dalla Cassazione penale, la quale ha prospettato soluzioni tra loro differenti. L’art. 292, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43 (di seguito “Tuld”), che contiene la definizione di contrabbando doganale, punisce chiunque sottragga la merce al pagamento dei diritti di confine dovuti. L’art. 70, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito “Decreto Iva”) sanziona, invece, chi evade l’imposta sul valore aggiunto nelle operazioni di importazione di merce proveniente da Paesi extracomunitari, attraverso un richiamo alla normativa in tema di contrabbando, in quanto il legislatore ha previsto che “si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”. Il legislatore ha individuato i “diritti doganali” in tutti quei diritti che la dogana è tenuta a riscuotere in forza di una legge, in relazione alle operazioni doganali (art. 34, comma primo, Tuld). Il comma secondo di tale disposizione legislativa specifica poi che sono diritti di confine tutte le imposte di consumo a favore dello Stato. Sul punto, un orientamento giurisprudenziale ormai superato ha sostenuto la natura di “diritto di confine” dell’Iva, in quanto imposta sul consumo. Proprio il meccanismo applicativo dell’Iva, congegnato in modo tale da far gravare l’imposta sul consumatore finale del bene, porterebbe a considerare l’Iva tra le imposte di consumo a favore dello Stato e, pertanto, tra i diritti di confine. Se si considera l’Iva un diritto di confine, nel caso di omesso versamento di tale tributo all’atto dell’importazione, si realizza il solo delitto di contrabbando e non anche quello di evasione dell’Iva, di cui all’art. 70 Decreto Iva. La più recente giurisprudenza ha riconosciuto all’Iva la natura di unico tributo, la cui riscossione viene demandata ad Agenzie fiscali diverse (Agenzia delle dogane, Agenzia delle entrate), per mere ragioni di economia di gestione, giacché l’Iva all’importazione viene riscossa unitamente ai diritti di confine, mentre l’Iva nazionale è autoliquidata dal contribuente e concorre alla formazione del volume d’affari. A riscontro del carattere unitario dell’Iva, sotto il profilo normativo, occorre rilevare che la quota di Iva versata all’Erario comunitario tiene conto sia dell’Iva riscossa all’importazione che dell’imposta sulle operazioni interne (art. 311, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ex art. 269 Trattato CE). Tutto ciò è confermato anche dall’art. art. 70, Decreto Iva, rubricato “applicazione dell’imposta” che, come già anticipato, stabilisce “l’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano, per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”.Tanto premesso, la sentenza si occupa di un caso in cui il tribunale del riesame, adito dall’interessato, aveva confermato il decreto con cui il GIP aveva disposto il sequestro preventivo di un velivolo di proprietà dell’indagato, cui era stato contestato il reato di cui agli articoli 110 c.p., 292 d.p.r. 43/1973 in relazione all'articolo 70 d.p.r. 633/1972, per avere immesso in consumo in Italia tale velivolo, di produzione statunitense, sottraendolo al pagamento dell'Iva all'importazione. Il proprietario dell’aereo, quindi, aveva presentato ricorso in Cassazione sostenendo, per quanto di interesse in questa sede, che il reato in esame non sarebbe configurabile, non trattandosi di importazione, bensì di cessione intracomunitaria, essendo stato importato l'aereo in Danimarca. Il Tribunale del riesame, cioè, avrebbe erroneamente giudicato sussistente una "diretta importazione del bene in Italia dagli Stati Uniti", avvalendosi della categoria dell'abuso del diritto, laddove l'elusione nel settore penale confligge con i principi di legalità e di tipicità.La giurisprudenza di legittimità, secondo il proprietario dell’aereo sequestrato, avrebbe riconosciuto che scegliere lo Stato nel quale introdurre nella Comunità europea perché in esso si gode di regime fiscale più favorevole costituisce esercizio del diritto di libera circolazione delle merci. A tal proposito veniva richiamata anche la giurisprudenza comunitaria, concludendo per l'assenza comunque della supposta elusione fiscale, poiché l'Iva all'importazione deve essere versata anche nella cessione intracomunitaria. Le sanzioni penali compromettenti la libera circolazione delle merci all'interno della comunità in caso di infrazione dell'Iva, poi, in quanto ritenute di tutela eccessiva dei prodotti nazionali dalla giurisprudenza comunitaria, dovrebbero essere disapplicate dal giudice interno. La Cassazione ha dato ragione all’indagato, annullando l’ordinanza per insussistenza del reato. In particolare, la Cassazione, entrando in rotta di collisione con se stessa (v., in senso contrario, con riferimento ad analoga fattispecie, appena due settimane prima: Cass. pen., sez. III, sentenza 13 marzo 2014, n. 11976), ha chiarito che non sussistono norme che predeterminano che lo Stato in cui viene importato il bene deve coincidere con quello in cui risiede il soggetto che ne acquisisce poi la reale disponibilità, donde la fattispecie non ha riscontro in una specifica normativa antielusiva, e pertanto, a fortiori, non può avere rilievo penale. Ciò in quanto, sottolineano i Supremi Giudici, la scelta di uno Stato attraverso il quale introdurre il bene nella Comunità europea, anche se è derivata esclusivamente dal fatto che in tale Stato il regime fiscale è più favorevole, non costituisce abuso ma esercizio del diritto di libera circolazione delle merci di cui all'articolo 23 Trattato CE e dei capitali di cui all'articolo 56 Trattato CE. Dunque, niente reato e, soprattutto, niente sequestro.

 

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